Il coaching è un processo, un ambito dello sviluppo personale che da diversi decenni si è diffuso come pratica professionale. La sua origine si riconduce alle idee rivoluzionarie di Timothy Gallwey e di John Whitmore; in particolare, quando ci si riferisce a Gallwey si rimanda immediatamente al suo testo più famoso, “The inner game’’. L’idea del “gioco interiore’’ è il fondamento del lavoro di coaching e, con questa espressione, si fa riferimento alla sfida con noi stessi, con la nostra mente. Secondo Gallwey qualsiasi azione performiamo sarà influenzata dalle interferenze di pensiero: sostanzialmente, la performance dipende dallo scarto tra il talento, il potenziale e le interferenze del nostro pensiero (da qui la famosa formula “Performance” = potenziale – interferenze). Inoltre, sempre secondo il famoso autore, siamo dotati di “due IO’’: un sé “pensante’’ e un sé “agente’’. Il primo comanda al secondo cosa fare e, sulla base del risultato, giudica l’azione. Dunque, al fine di migliorare qualsiasi nostra prestazione è importante che sappiamo comandare, gestire al meglio il nostro sé pensante affinché sia libero da condizionamenti, interni ed esterni.
Chi fa sport a livello agonistico conosce bene la sensazione di insicurezza e ansia che possono caratterizzare il periodo prima di un match o di una gara. Bene, queste sensazioni influenzano inevitabilmente la resa, cosicché lo scarto tra le nostre capacità - il potenziale ricco di talento e allenamento - e le interferenze di pensiero sarà tanto elevato quanto lo sono tali sensazioni. Altre interferenze possono essere dovute all’ambiente, all’attrezzatura, alla stanchezza fisica, ma ciò che più ci influenza è il nostro antagonista interiore, fatto delle nostre credenze e dei nostri pensieri. L’obiettivo di un coach è proprio quello di agire qui, dentro di noi, all’interno della nostra mente, dove la rappresentazione di noi stessi e dell’esterno determina il modo in cui “ci comandiamo’’ per raggiungere uno scopo. Il suo lavoro è volto a individuare le regole che nel nostro gioco interno stanno costituendo un limite per noi stessi, scardinarle e stabilirne di nuove, più funzionali.
Un buon coach può aiutare a cambiare l’immagine di sé all’interno di una determinata performance e, di conseguenza, contribuire a migliorare l’autostima. Proprio per questo effetto sull’atteggiamento generale e sulle cognizioni, il coaching si è allargato oltre l’ambito dello sport, nel quale aveva preso avvio. Per esempio, un Life Coach è colui che, con particolari strumenti e tecniche, aiuta a gestire al meglio la vita di tutti i giorni, sostenendo la riduzione di abitudini negative e promuovendo routine più favorevoli al benessere. In ciascuno di noi è infatti attivo in “match” con sé stessi tutti i giorni: all’interno delle sfide quotidiane, delle scelte di vita e dell’attività lavorativa. Pertanto, una guida attenta e preparata può farci notare comportamenti che ripetutamente (e talvolta anche in modo inconsapevole) ci rendono insoddisfatti, inducendo maggior autoconsapevolezza e controllo di sé.
Dunque, perché dovresti affidarti ad un coach? Per esempio,
- Perché godi di una buona salute mentale ma ti senti lontano dai tuoi obiettivi (di business, sportivi o, più in generale, di vita) e non sai da dove partire per raggiungerli;
- Perché vuoi migliorare le tue abitudini di vita e renderla più salutare, colorata, soddisfacente;
- Per acquisire maggior consapevolezza di sé e dei propri mezzi;
- Per avere un supporto esterno, una guida che ti fornisca motivazione e che orienti la tua energia verso la direzione giusta.
Chiaramente, più specifici stati ansiosi, depressivi o qualsiasi tipo di sintomatologia esperita deve essere osservata e gestita da un professionista della salute mentale, in quanto il coaching differisce dall’intervento psicologico -psicoterapeutico- e, di solito, un coach non ha una formazione psicologica o medica. Dunque, se pensi di soffrire di questi episodi ti consigliamo di affidarti ad un terapeuta.
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